Presentiamo ora un’inedita poesia del sommo, arrivata ieri dalla Lucania per telegramma.
Ah no, in Lucania non hanno il telegrafo (mi corregge il collega Oracolo, conoscitore dei posti), c’è arrivato con un piccione.
“L’inverno” di Esopo Busi
Prefazione: Esopo Busi racconta come sente proprio l’arrivare dell’inverno e ne descrive, attraverso avvenimenti, persino i difetti e le sensazioni provate. A questo proposito vengono utilizzate metafore e un linguaggio popolare abbastanza scurrile, che rende la poesia adatta a tutti. Scritta sulla falsa riga de “L’assiuolo” di G. Pascoli.
Dov’era il cielo? Ch’era
coperto dalla luce dei lampioni
che si illuminano la sera
e mi fan salire due coglioni…
Sentivo l’arrivo dell’inverno in città
e guardavo il cielo, bello.
Oh estate vattene via di qua
che mi hai già rotto l’uccello.
Seduto al caldo in un matrimonio foggiano
sento in sottofondo “le tagliatelle di nonna Pina”
“ci sarà una femmina in tutto sto baccano”,
ma neanche l’ombra di una vagina.
Sento la canzone martellare
come un chiodo sul cervello
mi vien da dire alla sposa “ma ti vuoi sposare,
che mi hai già rotto l’uccello?!?”
Ed ecco che arriva il gelo pungente,
e io comincio a diventare pazzo
credo di vedere una stella cadente
ma è una palla di neve del cazzo.
Bestemmio verso i bambini che giocano fuori
torno dentro casa come un cammello
potessi solo dirgli “se ne tiri un’altra muori,
che mi hai già rotto l’uccello!”
E dopo giorni un po’ di sole
io esco a bere un caffè
ed ecco del freddo sento la mole
di gradi ce ne son meno tre
mentre impreco ho le dita gelate
provo a scaldarmi con un saltello
e lì penso “Inverno! Fai tornare l’estate,
che mi hai già rotto l’uccello…”
Mi permetta di dire, poeta dei miei stivali che non ha rispettato le unità aristoteliche di spazio e di tempo, e ciò rende la poesia una assurda banalità. Pertanto adesso, non avento ancora cenato, mi vado a sparare un kebab piccante con salsa youghurt.